La vendemmia è alle porte e si sa, in Italia nessuno sa dire di no ad un buon bicchiere di vino: sia esso rosso, bianco, dolce, brut, frizzante, fermo. La tradizione vinicola italiana è un’eccellenza in tutto il mondo, si parli di Amarone o di Chianti. A preoccupare però questa ottima filiera di produzione nostrana è il clima, sempre più bizzarro e atipico, influenzato dal riscaldamento globale, conseguenza in gran parte delle nostre azioni autodistruttive.
A testimoniare le temperature e il clima indisciplinato di questo ultimo periodo, in particolare, sono le precipitazioni più che abbondanti, quasi eccezionali (non ultimo il nubifragio che si è abbattuto su Verona sabato scorso), le grandinate, tanto al nord come al sud, e la diffusione di malattie come la peronospora, causata da parassiti che portano l’uva a marcire. Una serie di eventualità per le quali i viticoltori hanno mostrato le loro preoccupazioni a poche settimane dalla vendemmia.

Foto di Jesse Belleque
Per capire se questi timori siano fondati abbiamo fatto qualche domanda al prof. Maurizio Boselli, titolare della cattedra di Viticoltura all’Università di Verona, che ci ha parlato dell’andamento della produzione di vino nel 2018. “In generale questa è un’annata che ripristina la produttività nazionale in termini di produzione di uva e di vino. Abbiamo un aumento che va dal 15% al 20% a seconda delle zone. – spiega Boselli – In totale parliamo di circa 50-52 milioni di ettolitri di vino prodotti, che è un buon livello paragonato ai 42 milioni di ettolitri dello scorso anno.”
La situazione regionale è varia, come spiega il professore: “Secondo i dati forniti da Enti territoriali, organizzazioni sindacali e da personali informazioni, per le regioni del Sud a maggiore potenziale produttivo come la Puglia e la Sicilia si può prevedere un incremento produttivo rispetto al 2017 nonostante, per la Puglia in particolare, si siano registrati attacchi di peronospora e grandinate. Il livello qualitativo rimane comunque discreto. – afferma il docente – In Sicilia si è verificata la stessa situazione: ci sono stati attacchi di peronospora, le grandinate sono state limitate e l’ottima escursione termica giorno-notte garantisce, soprattutto nei vigneti dell’Etna, una composizione aromatica dell’uva molto interessante. La produzione meridionale, in generale, è superiore al 2017 ma in calo rispetto alla media decennale, quindi il Sud avrà una produzione buona con qualche criticità riguardo la diffusione della peronospora”.

Foto di Tim Mossholder
“Per il Nord, invece, abbiamo in generale un aumento della produzione stimabile intorno al 15%-20% con alcune eccellenze come il Trentino Alto Adige dove ci sono stati pochissimi danni da peronospora e il livello qualitativo è molto buono. – chiosa Boselli – Il Piemonte, invece, ha avuto parecchi attacchi del parassita, la produzione è in calo ma superiore al 2017, anno in cui si sono registrati diffusi danni da stress idrico nei vigneti. Il Veneto registra incrementi produttivi leggermente inferiori alle altre regioni del Nord. Gli attacchi di peronospora sono stati limitati e la qualità dell’uva in generale è prevedibilmente di buon livello. L’attuale mese pre-vendemmia, con rilevanti escursioni termiche giorno/notte, garantirà un’ottima composizione in componenti nobili dei grappoli. La Toscana, che è un’altra regione di interesse per le sue eccellenze, ha avuto diffusi attacchi di peronospora e di mal dell’esca (un complesso di funghi che attacca la vite, ndr). Tuttavia non si possono ancora tirare le somme per il 2018: la stagione è ancora in itinere, e occorre tempo per fare valutazioni attendibili”, afferma il docente.
A sollevare interesse proprio contro l’attacco delle malattie della vite, esiste però una ricerca coordinata dal Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università Statale di Milano e pubblicata il 21 agosto scorso sulla rivista “Scientific Report” del gruppo Nature. Stando a questa ricerca, esisterebbe un raro sistema di difesa nei confronti della peronospora nella varietà georgiana di Vitis vinifera Mgaloblishvili: “È una ricerca senz’altro promettente che ha individuato un pool di geni di resistenza nei confronti della malattia ed è una cosa particolarissima, perchè la Vitis vinifera non possiede normalmente geni di resistenza. – afferma il professor Boselli – La ricerca è estremamente incoraggiante e può avere ricadute assai interessanti sia isolando e poi utilizzando il pool di geni responsabili della resistenza in altre varietà di Vitis vinifera tramite le biotecnologie, sia in lavori di miglioramenti genetici più tradizionali, per esempio mediante l’incrocio con altre varietà di vite”.

Foto di Samuel Zeller
Uno sviluppo che potrebbe portare benefici anche dal punto di vista della coltivazione e dell’uso di trattamenti chimici: “È un elemento cruciale quello della resistenza verso gli stress biotici, come la peronospora, perché abbiamo assoluta necessità di diminuire i trattamenti antiparassitari nei vigneti, spesso intercalati dalle case, dalle attività artigianali o dalle scuole. – prosegue Boselli – Una strada è certamente questa, ma esiste un’altra linea di ricerca molto importante che ha imboccato la strada degli induttori di resistenza, cioè sostanze naturali che possono attivare le difese della pianta in modo che possa difendersi contro stress sia biotici, sia abiotici (come stress idrico, salino e bolle di calore). Sono strade che devono andare parallelamente. Certamente il miglioramento genetico sarà un lavoro più lungo, ma deve essere continuato e implementato perché potrà darci delle risposte molto interessanti in futuro”.
E i cambiamenti climatici? Dobbiamo cambiare anche noi e il nostro modo di coltivazione con essi? “Il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono innegabili ed è un problema che sta interessando tutto il mondo vitivinicolo, dalla California all’Australia. Noi abbiamo una situazione particolare, essendo in un ambiente mediterraneo: le nostre varietà infatti sono molto più adatte ai cambiamenti climatici in termini di riscaldamento avendolo già subito in passato, rispetto, per esempio, a quelle francesi. – spiega il professore dell’Università scaligera – Un secondo elemento è che la nostra viticoltura ha una notevole resilienza: il territorio italiano è caratterizzato da zone viticole di alta collina dove possono essere insediati i vigneti in modo da attenuare gli estremi termici legati al riscaldamento globale. Per quanto riguarda la gestione del vigneto, per adattare meglio la nostra produzione al clima, ci sono teorie e ormai anche pratiche che cercano di applicare metodiche innovative per aumentare la capacità adattativa delle nostre varietà, ma al momento non c’è una soluzione largamente utilizzabile”.
Giorgia Preti