C’è chi pensa che l’uomo sia finito sulla terra per “sbaglio”: capitato casualmente in un mondo che lo ha accolto, abbracciato con tutte le sue meraviglie; un luogo confortevole dove si è insediato più di due milioni di anni fa, ma di cui non sembra essere all’altezza. E a farci prendere coscienza di tutto ciò è il mondo stesso, che a modo suo comunica la propria sofferenza, spesso con i disastri naturali.
Un’umanità ingombrante
Ciò che, infatti, l’umanità fatica a capire è l’adattabilità limitata della natura alla nostra presenza, che di anno in anno si fa sempre più ingombrante. In termini di quantità? Assolutamente no: nonostante i 7,6 miliardi di persone che calpestano il mondo, secondo la ricerca The biomass distribution on Earth svolta dal professor Ron Milo, del Weizmann Institute of Science di Israele, l’uomo occuperebbe in termini di biomassa (cioè moltiplicando la popolazione totale per il peso medio dei suoi membri) solo lo 0,01% circa della terra. La presenza dell’uomo in natura ha implicazioni ben diverse, tra cui: inquinamento e conseguenti cambiamenti climatici, distruzioni di interi habitat, deforestazione e iper-sfruttamento di flora e fauna che ha portato all’estinzione dell’83% dei mammiferi selvatici e del 50% delle piante. Percentuali incredibili che il professor Milo definisce “sconcertanti”, soprattutto in relazione alla nostra insignificante presenza sulla terra.
Dall’Holocene all’Anthropocene

Foto di Ciprian Morar
La fotografia di un mondo in declino, di cui l’uomo è il solo responsabile, emerge anche dal Living Planet Report 2016 redatto dal WWF. Nel documento si parla di un passaggio fondamentale tra due periodi teorizzati dal premio Nobel Paul Crutzen: “Holocene” e “Anthropocene” (dove tutt’ora viviamo). L’Anthropocene è una nuova era caratterizzata da rapidissimi cambiamenti climatici, acidificazione degli oceani e rischiosa non solo per la flora e la fauna, ma anche per l’uomo, proprio a causa dello stato di deterioramento della natura. Un processo che porterà la terra ad essere sempre meno ospitale con l’umanità che, dal canto suo, è sempre meno “environment-friendly”: parlando di impatto sull’ambiente, infatti, il report del WWF traccia una sorta di mappa a colori dove in ogni nazione viene indicato con l’unità di misura dei “global hectares” (gha) l’impronta ecologica per ogni persona in ogni Paese. I risultati (riferiti al 2012) mostrano poche, ma grandi, nazioni con un impatto ecologico maggiore ai 7 gha tra cui il Nord America, l’Australia e la Svezia. L’Italia, invece, si trova a metà strada, tra i 3,5 e i 5,25 gha.
Un primo cambiamento andrebbe fatto a livello finanziario, per indirizzare i flussi economici verso un’economia sostenibile. Inoltre è necessaria una sostituzione dei sistemi energetici passando ad uso costante delle fonti sostenibili preservando il capitale naturale di cui noi siamo custodi.
Quanto tempo ci rimane su questo mondo?
Stando all’esperto Dott. James Watson, della University of Queensland and Wildlife Conservation Society, intervistato da “The Guardian” nell’ottobre 2016, l’uomo ha distrutto un decimo della flora e fauna selvatica negli ultimi 25 anni e, tra un secolo, potrebbe essere tutto estinto. Il conto alla rovescia, secondo il prof. Watson, è di due decenni, o potremmo cadere vittime del nostro stesso spregiudicato comportamento.
Nel frattempo (se non l’avete già visto) è il caso di guardare questo filmato, realizzato da Steve Cutts, dal titolo Man. Un cortometraggio animato che la dice lunga sul rapporto sproporzionato dell’uomo con il mondo. Buona visione!
Giorgia Preti