L’avocado, frutto esotico protagonista di tante ricette, sta conquistando il mondo: sono comparsi in ogni angolo del pianeta locali come l’Avocaderia di New York o l’Avocado bar di Roma dove il protagonista è il prezioso frutto verde. La richiesta di avocado negli ultimi anni è talmente cresciuta che il Messico, il più grande produttore ed esportatore di questi pregiati frutti, è ormai costretto ad importarli. Ma quanto costa davvero al Messico la coltivazione intensiva di avocado?
Il Messico il principale esportatore di “oro verde”
Il Messico, con il 40% del mercato mondiale, è il principale esportatore di avocado: eppure sembra che la coltivazione intensiva dell’“oro verde” non sia sostenibile dal punto di vista ambientale. Secondo un rapporto pubblicato nel 2012 dall’Instituto Nacional de Investigaciones Forestales, Agricolas y Pecuarias, tra il 2001 e il 2010, la produzione in Michoacán – lo Stato che produce la maggior parte dei frutti – è triplicata e le esportazioni sono aumentate di dieci volte, ma al prezzo di una massiccia deforestazione e della perdita di biodiversità.
Nel 2016 le esportazioni di avocado hanno sfiorato i 20 miliardi di dollari, fatturando, secondo il Ministro dell’economia messicano, addirittura più del petrolio. La domanda estera sempre più insistente ha spinto nuovi fiduciosi agricoltori a investire nel business degli avocado. Così, ogni anno circa 690 ettari di terre vergini o destinate al fabbisogno locale vengono trasformate in monocolture intensive di questi frutti.
L’impatto ambientale della coltivazione di avocado
Purtroppo la speranza di trasformare questa produzione agricola in un investimento capace di risollevare le sorti di tanti piccoli agricoltori si è rivelata una scommessa sbagliata e i contadini sudamericani, per trarre maggiori profitti dalla produzione di avocado, non si preoccupano del disboscamento o dell’impatto dannoso che una monocoltura può avere sulla biodiversità del territorio o degli effetti che alcuni prodotti chimici e fertilizzanti possono avere sul suolo, l’aria e le riserve d’acqua.
In un Paese in cui le riserve naturali sono limitate e l’acqua è un bene prezioso, le piantagioni intensive richiedono un continuo assorbimento di risorse, che vengono sottratte alle popolazioni locali. Secondo un’inchiesta de l’Internazionale, la produzione di 1 kg di avocado richiede centinaia litri di acqua, tantissimi rispetto ad altri frutti o verdure che ne utilizzano decisamente meno.
Altra nota dolente è il trasporto: spostare da una parte all’altra del globo il gustoso frutto contribuisce ad aumentare l’inquinamento ambientale. Gli avocado, infatti, percorrono migliaia e migliaia di chilometri su camion, treni, navi e aerei per raggiungere infine i nostri supermercati e le nostre tavole, spacciandosi poi per prodotti salutari quando il più delle volte niente, a partire dalla loro produzione, è stato sostenibile.
Verso un’agricoltura a misura d’uomo
L’avocado è stato per generazioni il nutrimento principale delle popolazioni messicane, ma oggi a causa del costante rialzo del prezzo, generato da una domanda in continua ascesa, è diventato troppo caro per i suoi stessi produttori. Nell’ultimo periodo i frutti sono stati venduti a 80 pesos al chilo (poco meno di 4 euro), l’equivalente del salario minimo giornaliero: gli avocado sono diventati un lusso che i messicani non possono più permettersi. La ricerca della sostenibilità ambientale può trasformarsi in equità sociale?
A questa domanda ha provato a dare una risposta José Graziano da Silva, direttore generale della FAO (Food and Agriculture Organization), che nella prefazione di “Save and Grow” spiega che per ridurre il degrado del suolo e la deforestazione bisogna puntare su colture sostenibili in termini ambientali, economici e sociali, e sulla ricerca tecnologica per fare in modo che si raggiunga «un’agricoltura più produttiva – inclusiva e sostenibile – che rafforzi i mezzi di sussistenza rurale e garantisca la sicurezza alimentare per tutti, riducendo al tempo stesso l’impatto dell’agricoltura sulle risorse naturali, e resiliente ai cambiamenti climatici».
Lucrezia Melissari