I dati resi noti dalla Commissione Europea attraverso il rapporto “A European Strategy for Plastics in a Circular Economy” mostrano che ogni anno i rifiuti di materiale plastico prodotti nel Vecchio Continenti ammontano a 25,8 tonnellate, delle quali solo il 31% diretto nelle discariche e destinato al riciclo.
Le materie plastiche quindi si accumulano in mare e, poiché impiegano centinaia di anni a degradarsi nell’ambiente, si stanno ormai disseminando per le acque del Pianeta, anche sotto forma di microplastiche, con delle conseguenze allarmanti.
Un mondo di plastica
Le materie plastiche sono dei materiali polimerici che possono essere uniti ad altre sostanze per migliorarne le proprietà chimico-fisiche e ridurre i costi. Resistenza e flessibilità sono solo alcuni dei grandi pregi della plastica, ma nel mondo dell’usa e getta, la plastica sta ormai iniziando a mostrare anche i suoi limiti.
Purtroppo non siamo ancora in grado di riciclare tutte le tonnellate di plastica che produciamo e questa si accumula inesorabilmente dando avvio ad un ciclo di distruzione della fauna e della flora, con importanti impatti anche sulla salute umana.
Ovunque siamo circondati dalla plastica, dagli oggetti di uso quotidiano alle parti dei nostri computer, ma da dove deriva la maggior parte dei rifiuti plastici che produciamo ogni giorno? Soprattutto dagli imballaggi alimentari e dalle confezioni di ciò che mangiamo o beviamo che affollano gli scaffali dei supermercati.
Non tutti i prodotti possono essere comprati sfusi e facendo la spesa acquistiamo anche tantissima plastica mono-uso che verrà subito gettata. Quale potrà essere la soluzione per ridurre gli sprechi secondo la logica della sostenibilità?
Le alternative green agli imballaggi di plastica
Negli ultimi dieci anni si sono prospettate nuove alternative alla comune plastica e una di questa è l’acido polilattico o PLA, un poliestere termoplastico ottenuto a partire dal mais e che è stato tra le prime bioplastiche ad essere commercializzate e impiegate su larga scala.
Questo polimero è totalmente biodegradabile e biocompatibile, resistente e flessibile viene utilizzato per gli imballaggi alimentari e a differenza della plastica tradizionale, che ha una vita media che può variare tra i 100 e i 1000 anni, presenta tempi di biodegradazione molto più brevi, che a seconda degli ambienti in cui è abbandonato, variano da 1 a 4 anni.
La bioplastica
Alcuni imballaggi, come i contenitori dei detersivi per la pulizia della casa, sono composti a partire da un polietilene verde (bio-based) proveniente dalla sintesi di bioetanolo della canna da zucchero. La bioplastica utilizzata per questi tipi di packaging è quasi al 100% proveniente da risorse rinnovabili e vanta, per il suo intero ciclo di vita, una consistente riduzione delle emissioni di CO₂ rispetto alla produzione della stessa plastica HDPE (high-density polyethylene) da risorse fossili.
Questo polietilene verde non è perfettamente compostabile ma è riciclabile al 100% e può essere inserito nella raccolta differenziata della comune plastica.
Dai resti ortofrutticoli all’eco-packaging
Anche l’Italia partecipa alla ricerca di innovativi sistemi di packaging: a Genova è stato messo a punto dallo Smart Materials Groups del Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia, sotto la guida della dott.ssa Athanassia Athanasssiou, in collaborazione con SGM (Società Gestione Mercato) di Genova e Ascom ConfCommercio, un nuovo tipo di bioplastica che proviene dai resti del mercato ortofrutticolo!
I ricercatori stanno lavorando allo sviluppo di imballaggi in bioplastica derivati dalla totale conversione del residuo ortofrutticolo, un perfetto esempio di economia circolare: dallo scarto alimentare si crea un materiale nuovo, ecocompatibile, che riduce i costi di smaltimento del residuo organico e che rimane sul territorio per essere riutilizzato, senza spese di trasporto e minor inquinamento ambientale.
Lucrezia Melissari