La filiera alimentare è responsabile di un quarto delle emissioni di gas serra: quello che mangiamo, quindi, non è sostenibile come potrebbe sembrare. Le foreste vengono tagliate per creare foraggio per gli animali, liberando così grandi quantità di carbone nell’atmosfera. Mucche, pecore, galline digeriscono il loro cibo, producendo metano. In più combustibili fossili vengono usati per far funzionare le macchine necessarie per l’agricoltura, creare fertilizzante e spedire in tutto il mondo il cibo. Pensateci la prossima volta che comprerete quel delizioso avocado dal Messico.
Ovviamente non tutto il cibo ha lo stesso impatto ambientale, il bestiame è la causa di circa il 14,5% delle emissioni serra mondiali: per metterlo in prospettiva, equivale alle emissioni di macchine, camion, aerei e barche messi insieme. Se guardiamo ancora più nel dettaglio, manzo e agnello sono i maggiori responsabili, seguiti da maiali e polli.
Questi dati, però sono legati a molti fattori differenti: per esempio la carne prodotta negli Stati Uniti e in Europa produce meno emissioni di quella dell’Argentina o del Brasile. Questo è dovuto al fatto che in Brasile, e altri Paesi sudamericani, milioni di acri di foresta pluviale sono stati bruciati per far spazio alla produzione di carne, mentre in America o Italia gli spazi utilizzati erano già esistenti.
Tutti questi dati, quindi, vanno contestualizzati. Una cosa però è certa, le piante producono meno inquinamento della carne.
Da dove vengono tutte le missioni?
Per 0, 5 kg di carne sono necessari 1,5 kg circa di grano, in più sono necessarie più terra e acqua per produrre un kilo di proteina animale che vegetale.
La differenza delle emissioni tra le varie specie animali, invece, è dovuta da vari fattori, ma principalmente dal funzionamento del loro apparato digestivo: quello di mucche e agnelli, infatti, produce più metano di, per esempio, quello di maiali e galline.
E il pesce?
Il pesce ha un’impronta molto piccola, ma anche in questo caso bisogna contestualizzare. Se pescate un pesce nel fiume, le emissioni di gas serra saranno sicuramente molto basse e la vostra coscienza ambientale può riposare in pace. Le cose cambiano, invece, per quello pescato in mare o negli oceani, per cui è necessario usare benzina per le navi. C’è anche da considerare che al momento un incremento della pesca sarebbe rischioso per l’ambiente e la biodiversità, dato che abbiamo già raggiunto la soglia limite per la maggior parte delle specie.
Le “fattorie del pesce” possono essere una valida alternativa, soprattutto quando si parla di molluschi, ma lo stesso non si può dire di tutti i casi. In Asia intere foreste di mangrovie sono state abbattute per far spazio alle fattorie di pesce, mentre in Cina la produzione di pesce ha emesso grandi quantità di metano.
Come diminuire il nostro impatto?
Cambiare dieta sarebbe un primo passo verso una maggiore sostenibilità. Consumare meno carne rossa o latticini riduce molto il nostro impatto ambientale, anche senza diventare necessariamente vegani. Per esempio, maiale, pollo, uova e pesce hanno un’impronta minore, anche se le verdure e i legumi rimangono in vetta alla classifica della sostenibilità.
Diventare vegetariani ridurrebbe fino a un terzo la nostra impronta ambientale e rinunciando anche ai latticini aiuterebbe ancora di più.
In definitiva, non è necessario eliminare completamente la carne dalla nostra dieta, ma è consigliato ridurne drasticamente il consumo. Inoltre, per ridurre le emissioni, dovremmo rendere la produzione della carne più efficiente e meno impattante: alcuni studi hanno anche ipotizzato di poter ridurre le emissioni di gas serra grazie all’introduzione di alghe nella dieta degli animali.
Serve davvero a qualcosa?
La principale causa di produzione di gas serra rimane comunque l’utilizzo di combustibili fossili (65%). Questa, però, non può essere una scusa: cambiare le abitudini alimentari porterebbe a un impatto positivo significativo: è praticamente impossibile eliminare tutte le nostre emissioni nella filiera del cibo, ma possiamo ridurle sensibilmente con pochi accorgimenti e qualche sacrificio.
Silvia Pegurri