I vestiti sono una necessità quotidiana e per molti un’importante espressione della propria personalità. Tuttavia, l’attuale modello del settore usa e getta è la causa principale di un grave impatto ambientale e di una sostanziale perdita di valore economico. In base a quanto riportato nell’ultimo rapporto della Ellen MacArthur Foundation, ogni secondo un carico di tessuti equivalente a un camion dei rifiuti viene gettato in discarica o bruciato; ogni anno si perde così un valore di 500 miliardi di dollari di indumenti a malapena indossati. Di questo passo, entro il 2050 l’industria della moda consumerà un quarto del bilancio globale di combustibili fossili. Eppure, su quasi 100 milioni di tonnellate di tessili prodotti all’anno nel mondo, appena l’1 per cento viene riciclato: 980mila tonnellate. Il 15 per cento di queste si ricicla a Prato: 143mila tonnellate nel 2018.
La città toscana, cuore del distretto tessile più importante in europa, ha subìto una grave crisi nel 2009; le aziende sopravvissute, però, ad oggi stanno crescendo e puntano tutto sulla sostenibilità. Un pò alla volta sta diventando la capitale mondiale della trasformazione di materiali tessili post-consumo e si pone al centro degli obiettivi di sostenibilità dichiarati dai grandi marchi, sempre alla ricerca di modelli di produzione più puliti.
Infatti, ormai il tema green è sempre più attuale nell’industria del fashion e sta crescendo anche nei consumatori una certa sensibilità al rispetto dell’ambiente; questo contesto sta spingendo i produttori tessili di Prato a valorizzare il riutilizzo della lana cardata, come punto di forza in ambito di economia circolare, grazie alla produzione di tessuti rigenerati.
I tempi cambiano: da lavorazione poco prestigiosa, seppur con origini antichissime, ad asset per il rilancio del distretto nel mondo; è, infatti, da metà Ottocento che Prato ricicla gli stracci di tutto il mondo, con tecnologie avanzate e investimenti nei macchinari più innovativi. L’idea di riciclare questa fibra animale ha origini antiche, quando la corporazione dell’Arte della Lana di Firenze obbligò Prato a lavorare le fibre più corte, quindi meno pregiate. In seguito la città toscana si specializzò prima solo con la produzione di coperte, poi, con la seconda guerra mondiale, con i cappotti militari che furono la sua fortuna tessile. Il boom del riciclo fu vissuto dopo gli anni Cinquanta, quando, soprattutto dagli Stati Uniti, arrivavano capi usati, di cui due terzi circa venivano controllati, lavati e rivenduti come vintage, e la parte restante invece riciclata.
Ma perché Prato oggi è un’eccellenza mondiale in questo settore? Tutte le fasi della filiera sono controllate ed è l’unico caso, a parte qualche realtà in India, di distretto veramente specializzato. In generale è poi una filiera complessa da riprodurre, che comprende tante fasi, dalla cernita alla selezione per fibra, lunghezza e colore, alla pulizia per immettere nuovamente sul mercato le fibre come se fossero vergini.
Diventa dunque necessaria la collaborazione tra i vari attori del distretto, come è già stato fatto per esempio tra Confindustria Toscana Nord e Astri-Associazione tessile riciclato italiana, l’ultima nata a Prato, che raggruppa oltre 160 realtà. I capitoli aperti sono molti: dalla classificazione degli scarti di lavorazione come sottoprodotti, oggi resa complessa da una burocrazia eccessiva, fino alla necessità di creare per i prodotti di riciclo un mercato più vivace e ricettivo di quello attuale.
Fabrizio Tesi, titolare di un’impresa centenaria, Comistra, che produce tessuti ricavati al 90 per cento da materiale riciclato, è anche appunto il presidente di Astri, l’Associazione del tessile riciclato italiano, nata due anni fa per valorizzare un’eccellenza italiana e promuovere il lavoro che a Prato si fa da quasi due secoli, trasformando gli scarti tessili, soprattutto di lana, in risorse. Astri ha preso vita grazie alla volontà di alcuni imprenditori del settore molto impegnati sul fronte della rigenerazione di qualità, sostenuti da lavoranti e passatori, da cenciaioli e commercianti di materie prime, da filature, tintorie, rifinizioni e lanifici, che animano il primo distretto tessile d’Europa, con 7200 imprese, quasi 40mila occupati e un giro d’affari di 5 miliardi di euro all’anno. Da sempre hanno avuto una forte vocazione all’innovazione, che ha portato alla realizzazione di un impianto a ciclo completo unico al mondo per rigenerare e trasformare i sottoprodotti tessili e i materiali post consumo in un tessuto comunemente denominato “lana meccanica” o “lana di Prato”, cioè una lana riciclata creata senza l’utilizzo di nuovo vello di pecora e dotata di una qualità di altissimo livello, che vanta la certificazione Global Recycled Standard, che certifica prodotti ottenuti da materiali da riciclo.
L’esempio di Comistra, che vende i tessuti ai grandi marchi della moda, da Armani a Banana Republic, da Zara a H&M, non è un caso isolato. Nel distretto ci sono centinaia di aziende impegnate quasi al cento per cento nella rigenerazione di materiali post consumo, dalla filatura Valfilo, che produce filato cardato da riciclato, al lanificio Intespra che crea invece tessuti, dalla Manifattura Maiano che lavora gli scarti tessili per ottenere isolanti adatti all’edilizia sostenibile, fino a startup giovani come Rifò, fondata l’anno scorso da Niccolò Cipriani, che produce sciarpe e cappelli in lana rigenerata. L’utilizzo di materiali di scarto, che un tempo era ammesso con imbarazzo, ora può essere finalmente rivendicato con orgoglio.
Ma il riciclaggio della lana non è la sola buona pratica di Prato: trecento industrie sono collegate con l’acquedotto industriale “Gida”, un enorme impianto dove le acque derivate da realtà industriali vengono completamente depurate e riutilizzate dalle industrie tessili per la produzione, consumando, in questo modo, pochissime risorse idriche.
Sono tantissime le aziende che riciclano la lana e, anche se all’esterno si percepiscono poco, hanno grande impatto. In passato il riutilizzo serviva per avere un prezzo minore, oggi invece sembra essere diventata un valore aggiunto e una buona pratica da seguire.
Benedetta Bassi