Il nostro Pianeta, per quanto riguarda l’energia, è ancora molto dipendente dal petrolio e diversi Paesi solo negli ultimi anni stanno iniziando a orientare il loro fabbisogno energetico verso le rinnovabili. Le difficoltà e i pregiudizi, però, sono ancora tanti.
Convertire il proprio modo di produrre energia non è facile: pensiamo ad un Paese come la Norvegia che, anche se è tra i più sostenibili al mondo, è anche tra quelli che esportano maggiori quantità di gas e petrolio. Un’apparente contraddizione che riguarda anche altri stati del Nord Europa.
Transizione energetica: il futuro sono le rinnovabili
Per la Norvegia la completa transizione verso le fonti rinnovabili resta complessa, poiché se è vero che il Paese utilizza prevalentemente fonti energetiche sostenibili per produrre energia sul proprio territorio, è anche vero che ricava moltissimo esportando petrolio e gas nel resto del mondo, ma forse qualcosa sta per cambiare.
Infatti, il fondo di investimento sovrano della Norvegia, il più grande al mondo per masse gestite (oltre mille miliardi di dollari), liquiderà una quota delle sue partecipazioni in società o in investimenti finanziari che hanno a che fare con gli idrocarburi.
Ma anche in questo caso, le ragioni economiche, più che quelle ambientali, la fanno da padrone: il parziale disinvestimento deriva della necessità di ridurre l’esposizione su un settore diventato più rischioso che in passato – a causa della transizione energetica verso le rinnovabili e delle limitazioni all’uso di combustibili fossili imposta da molti governi mondiali.
La Norvegia – come altre ricche economie del Nord Europa – è tra quei Paesi che vive una forte contraddizione interna: se infatti emette in un anno, sul proprio territorio, 53 milioni di tonnellate di CO2, sono ben 500 milioni le tonnellate di CO2 esportate in altri Paesi, in particolare attraverso petrolio, gas e operazioni di trivellazione.
Quanto petrolio produce la Norvegia?
Nell’estremo nord d’Europa si registra il record di produzione di petrolio – almeno per quanto riguarda il Vecchio Continente e la Norvegia – con la produzione di 3 milioni di barili al giorno – è il primo esportatore europeo. Inoltre per l’economia norvegese il petrolio rappresenta circa il 52% delle esportazioni e ben il 25% del PIL.
La Norvegia deve molto della sua ricchezza allo sfruttamento dei giacimenti fossili, ma si sta impegnando nella riconversione, tant’è che investe parte dei profitti sullo sviluppo di nuove tecnologie rinnovabili e sulla terraferma produce elettricità quasi totalmente da fonti rinnovabili.
Il Paese ha poi l’obiettivo per il 2025 di arrivare ad una mobilità completamente elettrica o comunque a emissioni ridotte, un progetto a dir poco ambizioso. E a questo si aggiunge anche un altro importante obiettivo: la carbon neutrality entro il 2030.
I surfisti contro le trivellazioni nell’oceano
Anche se la Norvegia ha ridotto i suoi investimenti nel settore degli idrocarburi, continuano le trivellazioni in cerca di petrolio. Ma ci sono persone che non sono disposte a lasciare che il loro paradiso venga insozzato.
“Fight for the Bight”, questo il motto che ha unito migliaia di surfisti e cittadini australiani che hanno manifestato in alcune celebri spiagge del Paese: da Bondi Beach a Currumbin, fino a Bells Beach. L’obiettivo era quello di opporsi alle trivellazioni previste dalla società petrolifera norvegese Equinor nelle acque della Great Australian Bight.
Il rapporto che lega l’uomo all’oceano è profondo, il mare è da sempre fonte di vita, basti pensare a come è stato rappresentato dalle culture più antiche. L’oceano è popolato da migliaia di specie uniche e rare, senza dimenticare che le acque marine producono metà dell’ossigeno che respiriamo.
Ma quando la nostra casa ancestrale è a rischio è ora di scendere in “acqua” e farci sentire. Migliaia di surfisti, in diverse occasioni, hanno preso le loro tavole e hanno protestato contro il pericolo delle trivellazioni, che rischiano di danneggiare in modo irreversibile l’ecosistema naturale.
Ma non tutti vogliono ascoltare e la battaglia resta ancora aperta.
Lucrezia Melissari