È cambiata la domanda rispetto alla nuova mobilità sostenibile. C’è un nuova tipologia di “cliente-cittadino”, infatti, che – anche a causa della pandemia e grazie al lavoro da remoto – dimostra di aver finalmente compreso quali sono i vantaggi del muoversi “diversamente”.
E grazie a questa comprensione ha rinunciato a spostarsi in auto passando all’uso della metropolitana (dove possibile) o ad altro mezzo ecologico: un treno, un monopattino, una bicicletta, un’auto presa in car sharing e via dicendo. Tutti veicoli che risultano tessere fondamentali nel mosaico della smart mobility che, attenzione, per definizione non può che essere integrata.
La smart mobility è una necessità
Una consapevolezza, questa, che dev’essere assimilata e fatta propria, soprattutto da chi amministra le nostre città. Già perché il compito e la responsabilità di integrare in maniera sensata le diverse forme di mobilità spinte negli ultimi anni da operatori privati nazionali e internazionali è ad appannaggio in primis delle amministrazioni comunali. Le quali, va detto, non possono limitarsi a creare bandi, fissare regole e controllarne l’applicazione. No, perché adesso è arrivato il momento di promuovere un’idea di città ecosostenibile in tutte le sue parti e per farlo bisogna conoscerne la vita, le abitudini e le esigenze dei cittadini. Perché il cittadino cambia un comportamento solo se trova una valida alternativa, possibilmente più efficace della precedente, anche se molto probabilmente si accontenterebbe anche che fosse semplicemente di pari efficacia.
15 minutes city
A questo proposito si sta affermando sempre di più il modello di evoluzione cittadina denominato “15 minutes city”: si tratta di un modello di sviluppo urbanistico che delinea uno scenario in cui, all’interno del tessuto urbano, ciascun cittadino possa ottenere tutti i principali servizi di cui necessita a una distanza massima di 15 minuti, calcolati in percorsi effettuati a piedi o in bicicletta. Si tratta di un modello che consente di affrontare con un approccio progressivo di valorizzazione degli ecosistemi urbani le difficoltà nello sviluppo che le smart city stanno incontrando in questa particolare fase storica. Bici, scooter e monopattini sembrano rispondere meglio di altri alle nuove esigenze dei consumatori. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale della sharing mobility relativi all’ultimo anno questi mezzi costituiscono ormai il 90% dei veicoli in sharing e dei noleggi in Italia.
Questa nuova concezione di micromobilità, però, deve inserirsi all’interno di un ecosistema di mobilità dove tutte le soluzioni vanno lette in una logica integrata, considerando anche le tipiche differenze territoriali che si riscontrano in Italia, Paese dove più di solo un cittadino su quattro in Comuni con più di 100mila abitanti, mentre il resto della popolazione risiede ancora in borghi o piccole cittadine. Un’anomalia tutta italiana, se si pensa a dove sta generalmente andando il resto dell’Europa e del Mondo, con le grandi metropoli che tendono a “fagocitare” la maggior parte delle persone.
Proprio per questa natura atipica, dunque, le infrastrutture cittadine italiane dovranno svilupparsi attraverso un’azione di sistema che preveda sempre una stretta collaborazione tra istituzioni e operatori privati.
Nei prossimi anni la partita della nuova mobilità intelligente, sostenibile e integrata si sposterà maggiormente nel campo della “res pubblica”, perché gli spazi urbani e la vita che in questi si svolge non possono più essere solo una questione di business. E i nuovi leader della smart mobility saranno i sindaci. Almeno quelli capaci di operare nel presente preoccupandosi del futuro. Pensiamoci quando andiamo a votare.
Ernesto Kieffer