Siamo a corto di neve. Negli ultimi anni l’incidenza delle nevicate su Alpi e Appennini è diminuita e sempre più spesso capita di vedere neve fuori stagione o addirittura note località balneari, come Rimini, coperte da un candido strato di neve che trasforma lo scenario in un’immagine da cartolina. Di contro sempre più sciatori, o semplici amanti della montagna, rimangono invece scontenti per gli effetti di un clima che si sta dimostrando imprevedibile.
Breve storia dell’innevamento ‘tecnico’
Le prime avvisaglie del riscaldamento globale si notavano già a metà del secolo scorso e infatti il primo tentativo per ricreare la neve artificiale risale al 1946 quando Vincent Schaefer, scienziato della General Electric, con un aeroplano cosparse il cielo di nuvole contenenti cristalli di ghiaccio secco super raffreddato, mimando così il meccanismo di formazione della neve. E negli anni Cinquanta venne costruito e messo all’opera il primo cannone sparaneve sulle Catskill Mountains, nello stato di New York.
I costi ambientali della neve artificiale
La neve si vede solo ad alta quota, ma anche qui i ghiacci si stanno ritirando e ai gestori degli impianti sciistici non resta che affidarsi alla neve artificiale o tecnica, una soluzione drastica che spesso non rispetta l’ambiente e rischia di danneggiare l’ecosistema montano.
Anche il WWF è intervenuto sulla questione, con il report “Le Alpi da vivere, la risorsa turismo”, cercando di sensibilizzare le comunità montane affinché promuovessero un modello di sviluppo turistico sostenibile, in particolare ora che il 70% delle piste da sci sono coperte da neve artificiale.
Con dei cannoni sparaneve è possibile produrre grandi quantità di neve, ma consumando enormi risorse: 95 milioni di metri cubi d’acqua e 600 GWh di energia elettrica all’anno, che vengono monetizzati in circa 136.000 euro per ettaro di pista. A tutto questo si deve aggiungere anche l’inquinamento acustico prodotto dagli sparaneve in funzione ̶ responsabile della fuga degli animali spaventati dal rumore ̶ , e non da ultimo la modificazione dell’aspetto naturale del paesaggio.
Addio monti
La neve artificiale altera la composizione del terreno, della vegetazione e la biodiversità nelle zone alpine. Questo composto chimico che simula la neve ha un alto contenuto di acqua liquida, circa il 15-20 % rispetto al 7-10 % della neve naturale, di conseguenza ha un peso maggiore e una minore capacità di isolamento termico rispetto alla neve naturale. Questi fattori possono provocare il congelamento del suolo impedendo il normale passaggio di aria e quindi la morte del sottostante manto vegetale.
Con il disgelo addio a prati verdi e fiori di montagna e con loro a tanti animali selvatici. Nelle zone sottoposte a innevamento artificiale l’attività vegetativa inizia fino a 20-25 giorni in ritardo rispetto alla media e il deterioramento del manto erboso rende i pendii maggiormente vittime dell’erosione, con importanti rischi di stabilità del suolo.
Salvare il turismo in montagna
Se da una parte l’innevamento artificiale contribuisce a salvaguardare l’economia di molte località sciistiche, altrimenti abbandonate, dall’altro il disboscamento di ampie superfici per allargare le piste, lo sbancamento di aree destinate a bacini artificiali per la raccolta di acqua da trasformare in neve e l’installazione di impianti di risalita sulle pareti delle montagne hanno sollevato da più parti le proteste degli ambientalisti. Quello che si cerca di fare non è solo tutelare l’ambiente montano, ma educare ad uno stile di vita capace di adattarsi ad un clima che sta cambiando.
Nel dossier “E la chiamano neve” il WWF denuncia l’impatto dannoso della neve artificiale e propone un piano per reinventare in modo più sostenibile l’industria della montagna: non costruire impianti sciistici al di sotto dei 1300 metri e riconvertire quelli attuali in altre attività turistiche che impattino in maniera minore sul territorio. L’azione dell’uomo è fondamentale per salvaguardare l’ecosistema e per proteggere le montagne, per questo qualche volta potremmo lasciare a casa gli sci.
Lucrezia Melissari