Se nel mondo si stesse già bene, non avremmo bisogno di invenzioni. Se le invenzioni del passato fossero perfette, allora potremmo usufruirne per sempre. Invece, una grande innovazione come la plastica tradizionale, a distanza di circa mezzo secolo dalla sua scoperta, si sta rivelando più un problema che una risorsa. La sua estrema malleabilità, infatti, unita alle sue uniche caratteristiche di flessibilità e leggerezza, ne hanno fatto uno dei materiali di sintesi più di successo e diffusi negli ultimi anni. Questo, tuttavia, non va di pari passo con la possibilità di riciclo e smaltimento di questo materiale e con la sostenibilità del suo processo produttivo. Ma le alternative già ci sono.
Un passo ecologicamente importante: la bioplastica
Una delle più significative innovazioni nel campo delle tecnologie rinnovabili è la bioplastica o plastica bio-degradabile. Deriva da risorse rinnovabili di biomassa come oli e grassi vegetali, amido di mais, paglia, derivati dello zucchero. Per la natura dei suoi componenti, il tempo di smaltimento o biodegradabilità di questo materiale è molto minore rispetto a quello della plastica di sintesi. Tuttavia, non è totalmente eco-friendly.
La sua storia è ben meno recente di quanto possiamo immaginare: la prima bioplastica, infatti, ottenuta a base di latte, Galalith, è stata creata da chimici tedeschi nel 1897. Anche il cellophane, inventato da Brandenberger nel 1912, è fatto a partire da legno, cotone e cellulosa.
Continuando con un pò di storia, nel 1926 Maurice Lemoigne inventò il polidrossibutirrato (PHB), che rappresenta la prima bioplastica ricavata dai batteri. La prima azienda a fare ricerca e ottenere un buon fatturato con la bioplastica è stata italiana, Novamont, a partire dal 1989.
In tempi più vicini a noi, nel 2018 è partita la produzione industriale di mobili in bioplastica e il primo imballaggio realizzato a partire da frutta.
I principali vantaggi della bioplastica sono un minore impatto ambientale per la sua natura biodegradabile nel breve periodo e la correlata possibilità di riciclo, abbattendo i costi rispetto alla plastica tradizionale. L’uso della materia organica per la produzione della bioplastica risulta anche essere uno stimolo per la redditività delle attività agroforestali. Questo, in particolare, dovrebbe ridurre il fenomeno dell’abbandono delle terre agricole e favorirebbe l’urbanizzazione delle aree rurali. Anche l’inquinamento da trasporto è da tenere in considerazione: il trasporto delle biomasse è soggetto ad alti costi perché la materia prima è più voluminosa e soggetta al deterioramento. Le materie prime dovrebbero quindi trovarsi nelle immediate vicinanze dell’industria (approvvigionamento locale).
I principali svantaggi della bioplastica risultano essere ancora costi di produzione più alti: è un settore in crescita e ha costi fissi più alti. Per decollare necessità di ricerca e di sostegno pubblico o di un intervento di protezione dalla concorrenza della plastica tradizionale. Vi è anche un correlato pericolo di deforestazione dovuto proprio al nuovo stimolo per le attività agricole. Se infatti non si individuano nuove aree di produzione di seminativi per bioplastica, la possibile svolta di rinnovamento potrebbe indurre nuova deforestazione e togliere spazio alle terre ora destinate al consumo alimentare, incidendo inoltre negativamente sul prezzo dei prodotti agroalimentari.
Tra i costi sociali che la plastica tradizionale fa pesare sul piatto della bilancia possiamo contare anche il possibile danno ambientale causato dai rifiuti non smaltiti correttamente (si pensi a tutti quelli che finiscono in mare o nei fiumi e laghi), il costo di stoccaggio dei rifiuti nelle discariche (e costi di trasporto per i Paesi che non godono di termovalorizzatori adeguati), l’inquinamento atmosferico causato dall’incenerimento dei rifiuti in plastica.
Sia le discariche che i termovalorizzatori, inoltre, causano costi esterni da compensare, come quelli di bonifica del terreno e indirettamente i danni recati alle attività turistiche ed antropiche adiacenti.
Se i costi dell’inquinamento ambientale fossero considerati come quelli economici delle industrie che li producono, la differenza di competitività tra bioplastica e plastica sintetica sarebbe minore.
Francesco Novella