Uno studio pubblicato dalla BCE nei giorni scorsi dimostra che anche dal punto di vista economico le politiche green porterebbero più benefici che svantaggi.
Il cambiamento climatico è la principale sfida che l’umanità deve affrontare nel corso del XXI secolo. È una consapevolezza ormai diffusa, anche se non sono ancora tutti d’accordo.
Ma se fino i potenti del Pianeta non intendo affrontare la questione perché, come invece sarebbe auspicabile, hanno a cuore il futuro dei propri figli e nipoti o più in generale di Madre Natura e della stessa esistenza dell’Uomo sulla Terra, oggi si scopre che dovrebbero farlo almeno per questioni puramente economiche.
Se lasciato senza controllo, infatti, è probabile che il fenomeno del riscaldamento globale, portato alla ribalta mediatica anche grazie alle battaglie dell’adolescente Greta Thunberg, si traduca nel tempo in eventi climatici violenti sempre più frequenti e gravi, con la possibilità di causare nei prossimi decenni perturbazioni importanti anche alle nostre economie, alle nostre imprese e ai nostri mezzi di sussistenza.
A sostenerlo è un documento rilasciato due giorni fa dalla Banca Centrale Europea nel quale viene analizzato uno “stress test climatico” a livello puramente economico, allo scopo di valutare l’effettiva resilienza delle società non finanziarie (NFC) e delle banche dell’area Euro nei confronti appunto dei rischi climatici, in base alle varie ipotesi di future politiche ambientali.
Questo stress test, il primo di questo tipo pubblicato dalla BCE, si è concentrato su tre filoni principali: gli scenari climatici specifici per proiettare le condizioni climatiche e macroeconomiche nei prossimi 30 anni (quindi fino alla fatidica data del 2050), un set dati completo che combina informazioni climatiche e finanziarie per oltre 4 milioni di società in tutto il mondo e circa 1.600 banche consolidate dell’area Euro e, infine, una nuova serie di modelli specifici per il clima al fine di catturare i canali di trasmissione diretta e indiretta dei fattori di rischio climatico per aziende e banche.
Ebbene, i risultati emersi dal test dimostrano che ci sono chiari vantaggi nell’agire in anticipo: i costi a breve termine della transizione ecologica sono estremamente più bassi rispetto a quelli che verranno nostro malgrado causati nel tempo dal fenomeno del cambiamento climatico.
Perché un impegno in questo senso dei principali governi del mondo rallenterebbe di molto questo processo, che al contrario appare inarrestabile.
Ma non è tutto. L’adozione tempestiva di politiche ambientali che guidino la transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio, peraltro, porterebbe anche benefici in termini di investimenti e implementazione di tecnologie più efficienti, anche se gli alti costi soprattutto per il settore minerario o elettrico, che nel breve e medio termine rischierebbero con buona probabilità il default, sono il rovescio della medaglia da prendere in considerazione. Senza considerare gli effetti negativi delle migrazioni di massa.
Si calcola che entro il 2050 saranno ben 216 milioni i cosiddetti “migranti climatici”: di questi 86 arriverebbero dall’Africa sub-sahariana, 50 dall’Asia orientale de dal Pacifico, 40 dal sud dell’Asia (India e dintorni) e una ventina dal Nordafrica. Una fuga di massa da catastrofi naturali, dalla perdita di territorio dovuto all’innalzamento dei mari, dalla siccità, dalla desertificazione, dalla carenza di acqua e dai conflitti che ne deriverebbero e via dicendo.
Ripercussioni enormi ricadrebbero a livello politico, sociale e anche economico sui Paesi occidentali, che dovrebbero assorbire gran parte di queste persone.
La stessa BCE, però, sostiene che:
I vantaggi di un’azione tempestiva superano i costi iniziali nel medio e lungo termine, anche come risultato dei guadagni d’efficienza energetica per le società e dei prezzi dell’energia più bassi in generale.
I risultati mostrano anche che per le imprese e le banche più esposte ai rischi climatici (che in mancanza di azioni concrete si concentrerebbero in determinate aree del pianeta) l’impatto sarebbe potenzialmente molto significativo.
In particolare, per quanto riguarda il nostro Continente, il rischio fisico sarebbero quello di avere più inondazioni nei Paesi del nord-Europa e stress termico e più incendi per quelli del sud, area alla quale appartiene ovviamente la nostra Italia. E più si ritarda nell’intervenire e più saranno devastanti gli impatti che questa situazione si porterà conseguentemente dietro.
Il cambiamento climatico rappresenta, quindi, una delle principali fonti di rischio sistemico, in particolare per le banche con portafogli concentrati in determinati settori economici e specifiche aree geografiche. Un rischio che ovviamente – per evitare una nuova devastante crisi economica che si rifletterebbe su tutto il sistema – nessuno ha davvero voglia di correre. Insomma, come si diceva all’inizio, se non lo si vuole fare per le generazioni future o per la sopravvivenza del nostro pianeta e del suo delicato ecosistema, lo si faccia almeno per il proprio portafogli.
Una motivazione, questa, che di solito convince anche il più convinto dei negazionisti.
Ernesto Kieffer