La ricercatrice Kara Lavender, a seguito di studi condotti con una serie di crociere scientifiche per oltre vent’anni, svolte fra il Golfo del Maine e il Mar dei Caraibi, ha riscontrato nell’oceano Atlantico una grande concentrazione di rifiuti plastici.
In seguito, tramite simulazioni al computer, sono state individuate altre due possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell’emisfero meridionale: una nell’oceano Pacifico (a Ovest delle coste del Cile) e una seconda allungata tra l’Argentina e il Sud Africa attraverso l’Atlantico. Inoltre, un terzo accumulo di rifiuti è in corso di formazione nel mare di Barents, col rischio di un suo spostamento nel mar Artico.
Nel 2014, poi, è stata pubblicata la prima mappatura delle isole di plastica oceaniche su Proceedings of the National Academy of Sciences.
Cos’è il Great Pacific Garbage Patch
Il Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica del Pacifico, è l’isola di accumulo di rifiuti galleggianti più grande al mondo.
Questo accumulo si trova in corrispondenza del vortice oceanico subtropicale del Pacifico del Nord, in una regione dove le correnti causate dai venti creano una zona di confluenza dove si accumula spazzatura di origine umana che può rimanere intrappolata nel vortice.
Questo “continente” è stato scoperto nel 1988 dai ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, ma l’attenzione dei media e del grande pubblico è arrivata nel 1997 grazie alla testimonianza del navigatore statunitense Charles Moore, il quale, durante una traversata verso Los Angeles, si è ritrovato la sua barca a vela circondata da un ammasso di plastica e di altri rifiuti di origine umana.
Sarà l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer che, in seguito, conierà il termine Garbage Patch.
Le dimensioni
L’estensione dell’isola non è nota con precisione: le stime vanno da circa 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km², un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti. Il Garbage Patch occuperebbe una percentuale variabile tra lo 0,4 e il 5,6 della superficie totale dell’intero Oceano Pacifico.
I dati pubblicati il 22 marzo scorso sulla rivista Scientific Reports, offrono la stima più robusta della massa di plastica accumulata nel vortice del Pacifico Nord: 79.000 tonnellate.
Questo valore è stato calcolato tramite modelli matematici di circolazione oceanica, ed è circa 16 volte maggiore rispetto alla stima precedente ottenuta da uno studio che aveva considerato solo le microplastiche ed è 4 volte superiore rispetto un altro che, invece, aveva considerato micro e macroplastiche.
Secondo questo studio, ci sarebbero oltre 1,8 trilliardi di pezzi plastica intrappolati nel vortice del Pacifico del Nord, di cui il 94% sono microplastiche.
Queste microplastiche rappresentano l’8% della massa totale dell’isola, mentre le reti da pesca incidono per il 46%, il resto è rappresentato da altri attrezzi per la pesca come corde, lanterne per le ostriche, trappole per anguille, cassette di plastica per il trasporto dei molluschi, secchielli ecc.
L’umanità se ne sta a guardare?
Nel 2013 il giovane olandese Boyat Slat ha creato la fondazione Ocean Cleanup con l’obiettivo di ripulire il Great Pacific Garbage Patch.
Nonostante le criticità avanzate dalla comunità scientifica che reputava le attività della fondazione inefficaci, la campagna di crowdfunding di Ocean Cleanup ha raccolto 26 milioni di euro e sta iniziando a testare prototipi del dispositivo per la rimozione delle plastiche nel Mare del Nord.
Nel 2015 Ocean Cleanup ha lanciato anche una grande campagna di raccolta dati nella zona centrale del vortice del Pacifico Nord: durante due mesi 18 imbarcazioni hanno effettuato 652 campionamenti alla superficie dell’oceano, campionando sia micro che macrorifiuti, e nell’anno successivo sono state svolte due campagne aeree che, grazie a 7.000 immagini, hanno offerto una stima riguardante la quantità di mega rifiuti sulla superficie di 311 km².
Nonostante ciò, siamo a conoscenza che i polimeri plastici galleggianti rappresentano circa il 60% della produzione globale di plastica, questo significa che circa la metà di tutta la plastica che arriva nell’oceano probabilmente affonda e va ad accumularsi nei sedimenti e nei canyon sottomarini, mentre il resto dei rifiuti plastici, i quali hanno una densità che li farebbe galleggiare ma che non sono stati ritrovati nei vari studi, rimane probabilmente intrappolato lungo le coste, oppure viene ingerito dagli organismi marini.
Sergio Cremonesi