Les Bergers du Futur – I pastori del Futuro, è un documentario poetico, istruttivo e intimo. La storia della formazione dei ragazzi che vogliono diventare pastori si apre con degli scatti del regista, Lionel Roux, fotografo di professione, accompagnati dalla voiceover in sottofondo che racconta la sua esperienza; figlio di un pastore che era a sua volta figlio di un pastore, la sua infanzia è stata segnata da una semplice, immediata, frase ad impatto:
Non un pastore! Fai tutto quello che vuoi nella vita, ma non il pastore!
È così che inizia a fotografare pastori per quindici anni, dalla Spagna all’Etiopia, credendo al disarmante monito della sua famiglia: “Siamo gli ultimi pastori! Tutto è finito ormai!”.
L’ affermazione viene smentita dalla Scuola di Pastori di Merle, luogo in cui si formano i pastori del futuro. Lionel Roux segue i ragazzi che si iscrivono sin dal primo momento, riprendendoli dai colloqui in cui viene spiegato come nasce un simile desiderio, fino all’inserimento lavorativo, che emoziona lo stesso regista; il finale è una commovente descrizione della percezione dell’autore di “ogni volto che cambia”, manifestando a chiare lettere il coraggio dei protagonisti. Noi di Log to Green abbiamo intervistato il regista.
Poetico, istruttivo, addirittura catartico se si pensa alla storia familiare del regista.
L’importanza della formazione prende finalmente il suo spazio, nonostante sia da sempre sottovalutata o non preventivata nell’immaginario collettivo. Imparare a compiere al meglio il proprio lavoro è la chiave per poter gestire serenamente la propria vita e quotidianità.
Persino il rapporto emotivo che lega le pecore ai loro piccoli diventa un’informazione inaspettatamente fondamentale. “Parlate ai vostri animali. È importante.” consiglia l’insegnante mentre afferrano le pecore. Il tempo da trascorrere al pascolo ha tanto valore quanto ne ha la condizione psicologica degli animali. Il contatto e l’empatia sono doti da esercitare anche solo per saper impartire il comando giusto.
È così che il canto di una delle studentesse accompagna le sue affermazioni:
Ho davvero bisogno della mia montagna. Uno dei motivi per cui ho scelto questa professione è la mia voglia di solitudine. Ne ho bisogno e devo ancora capire molte cose di me. Questo lavoro muove delle cose dentro di noi. Ci ho messo dieci anni per capire che questa vita è quella che si sposa col mio essere.
Il percorso degli studenti alterna riprese nei campi a momenti tra i banchi. Legge, economia, e agronomia sono tra le materie da studiare, per nulla scontate, oltre alla transumanza e al pastoralismo, materie più tecniche e precise.
Si insegna la teoria tanto quanto la pratica. Avete mai pensato all’importanza del modo in cui si debbano posizionare le ginocchia quando si trasporta un animale o del dove portare il peso del corpo nella presa della propria capra o della propria pecora? Anche la giusta tecnica per tosare un animale non è da dare per scontata. Sono tutte cose determinanti per essere un buon pastore e necessarie per non fare errori in futuro.
Il film, dunque, risulta essere un efficace documentario sulla formazione dei futuri pastori che ha, in più, la capacità di raccontare la vita di chi compie questa scelta insieme alla semplicità del parto, dell’allattamento e del pascolo. La quotidianità degli animali si interseca con la passione dei protagonisti, che è più forte della fatica, della gestione degli orari, delle rinunce fatte per abbracciare questo stile di vita. Lo stereotipo del pastore ignorante e che non ha potuto decidere il suo lavoro viene smentito, riqualificando la professione all’interno dell’immaginario collettivo. Un esempio di storytelling efficace e necessario per l’intera comunità al fine di comprendere più a fondo le dinamiche reali di un mondo in mutamento.
Giovanna Delvino