La questione ambientale negli ultimi anni è passata da problematica per specialisti alle prime pagine dei giornali. Il volto della giovane attivista Greta Thunberg è ormai familiare a tutti e sempre più persone hanno cominciato a cambiare le proprie abitudini per essere più ecologici e ridurre l’impronta di carbonio. Secondo un’indagine della Commissione Europea, il 77% dei consumatori si è rivelato disposto a preferire prodotti eco-compatibili.
Le aziende non si sono fatte cogliere impreparate, e molte hanno cominciato a rassicurare i consumatori, promettendo azioni per raggiungere la neutralità di emissioni o il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori.
Non tutto è oro quel che luccica. Bisogna capire, infatti, quando si tratta di un vero impegno e quando invece si è di fronte a un caso di Greenwashing.
Greenwashing
È un termine nato già nel 1990 per definire quelle aziende, fortemente inquinanti, che cercavano di presentare un’immagine eco-friendly o ecologista. Si cerca quindi di nascondere la verità dietro a una patinatura, una pubblicità oppure impegni ambientali che però non vengono rispettati o che non hanno un effetto concreto sulle emissioni. È, riassumendo, l’ennesima forma di pubblicità ingannevole volta a convincere i consumatori della “virtuosità” dell’azienda solo che, in questo caso, si gioca con il futuro del pianeta.
Come riconoscerlo
Non è sempre facile capire quando un’azienda fa Greenwashing, bisogna prima di tutto pensare in modo critico al vero impatto che ha sull’ambiente la società o l’attività in questione. Internet spesso viene in aiuto del consumatore grazie ai vari siti di consumatori che denunciano queste attività come Goodguide, GreenWikia, Il Fatto Alimentare, o “The sins of Greenwashing”, che definisce anche i sette peccati capitali di questo tipo di pubblicità:
- Lo scambio segreto: quando un prodotto è definito green (oppure eco, bio etc.) in base a una serie ristretta di attributi che però nel complesso risultano insignificanti o minoritari. La carta prodotta da una foresta sostenibile, per esempio, non è per forza più ecologica di altri materiali. Bisogna mettere in conto il processo di fabbricazione, le emissioni, l’uso di cloro o candeggina e altre sostanze chimiche dannose per l’ambiente.
- Nessuna prova: non sempre ciò che viene definito eco-friendly lo è davvero, soprattutto se non ci sono prove a riguardo. Un esempio sono le percentuali di materiale riciclato nel prodotto, che però non possono essere verificate in alcun modo dai consumatori o da terze parti esterne all’azienda.
- La vaghezza: ovvero un’affermazione estremamente vaga, facilmente fraintendibile. “Tutto naturale” per esempio non vuol dire ecologico. Anche l’arsenico, il mercurio, l’uranio e la formaldeide sono naturali.
- L’adorazione della marca: quando un prodotto si presenta come “approvato” da terze parti grazie a etichette e slogan falsi (o vaghi), quando invece non è così.
- L’irrilevanza: un’affermazione può anche essere vera, ma allo stesso tempo irrilevante nel quadro generale.
- Il peggio dei due mali: si distrae il consumatore dal vero problema ambientale dell’intera categoria del prodotto, per concentrarsi sul singolo caso.
- Frottole: a volte le persone mentono, e anche le aziende.
Esempi concreti
Negli ultimi anni le bottiglie di plastica sono state quasi demonizzate, fino a diventare il simbolo del consumismo sfrenato della società moderna.
Nel 2010 San Benedetto è stata multata con 70.000 euro dall’AGCM a causa delle varie pubblicità che definivano le loro bottiglie amiche dell’ambiente. Le nuove bottiglie erano “prodotte con meno plastica, meno energia e più amore per l’ambiente”, il 30% in meno, per la precisione, implicando un minore uso di energia per la sua produzione. Era stata premiata nel progetto coop for Kyoto in quanto “azienda virtuosa”, peccato che non ci fossero studi che dimostrassero la veridicità di queste affermazioni. L’AGCM (l’Antitrust) ha infatti appurato che non ci fossero informazioni, o prove, del fatto che la quantità di plastica usata fosse minore, e soprattutto che equivalesse a un minore uso di energia e emissione anidride carbonica.
L’accresciuta sensibilità ambientale dei consumatori ha indotto i professionisti a conferire sempre maggior risalto, nella pianificazione delle proprie campagne pubblicitarie, alle caratteristiche di compatibilità ambientale dei prodotti o servizi offerti. I cosiddetti claim ambientali […] sono, quindi, diventati un potente strumento di marketing in grado di incidere significativamente sulle scelte di acquisto dei consumatori.
Di esempi che ne sarebbero molti altri, insomma, non tutto è eco-friendly ciò che è verde.
Silvia Pegurri