Con il termine bioeconomia si fa riferimento ad una teoria economica proposta da Nicholas Georgescu-Roegen che, come suggerisce il termine, si basa sull’uso di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi finali o intermedi.
La bioeconomia comprende settori tradizionali come l’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura e la silvicoltura, ma anche settori economici più moderni come quelli delle biotecnologie e delle bioenergie.
Cos’era la bioeconomia 10 anni fa
Nel 2009 la bioeconomia in Europa realizzava un giro d’affari di oltre 2.000 miliardi di euro e contava 21,5 milioni di occupati e dopo 10 anni le prospettive di un’ulteriore crescita sono ancora più promettenti.
Secondo uno studio dell’Ocse si stima che nel 2030 nei Paesi sviluppati le biotecnologie rappresenteranno il 35% dei prodotti chimici e industriali, l’80% dei prodotti farmaceutici e per la diagnostica e il 50% dei prodotti agricoli. Ma come se la stanno cavando adesso i vari Paesi?
I numeri della bioeconomia in Italia
I dati della bioeconomia in Italia sono positivi con oltre 328 miliardi di produzione – l’equivalente del 10% del PIL italiano – e ben 2 milioni di addetti. Questa è la fotografia che emerge dal Rapporto sulla Bioeconomia, curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Assobiotec.
Nel 2017 in Italia, la bioeconomia rappresentava circa il 10,1% della produzione e il 7,7% degli occupati. Il dato interessante è vedere come rispetto al 2016 il valore della produzione della bioeconomia sia cresciuto di oltre 6 miliardi segnando +1,9%, a dimostrazione come anche questo settore stia diventando attrattivo per gli investitori.
L’Italia, però, anche in questo contesto, dimostra di essere un Paese a due velocità: se infatti il Nord dimostra una maggiore attenzione ai temi legati alla bioeconomia, il Sud, escluse alcune realtà virtuose, potrebbe fare molto di più sia nella raccolta che nel riciclo.
Come si è evoluta negli anni la bioeconomia
A trainare nell’ultimo periodo la crescita della bioeconomia italiana sono stati i servizi legati al ciclo idrico e alla gestione dei rifiuti, ma anche l’industria alimentare e delle bevande.
L’Italia, tra i Paesi del vecchio Continente, è un esempio nel riciclo, dal quale produce nuova ricchezza. La carta ad esempio può essere riciclata fino a sette volte, tanto che tra il 2001 e il 2007 la quota di pasta-carta originata da fibre riciclate è passata dal 6 al 33%.
Il riciclo è fondamentale per il rafforzamento dell’economia circolare: “L’Italia – nelle parole dei redattori della ricerca sopra citata – si caratterizza per una forte propensione al riciclo e al riuso dei rifiuti e le filiere della carta e del legno rappresentano dei punti di eccellenza”.
Per la parte del ciclo dei rifiuti biocompatibili sono stati raggiunti 6,8 miliardi nel 2017 (+21,8% rispetto al 2008). Trainante il settore della silvicoltura che fornisce direttamente 40.000 posti di lavoro e crea un valore aggiunto pari a 1,3 miliardi di euro. Tra i vari impieghi dei prodotti forestali vi è la lavorazione del legname per l’industria del mobile e delle costruzioni e il settore della carta.
La bioeconomia in Europa
In Europa il Paese che ha scommesso maggiormente sulla bioeconomia è la Germania, con un valore della produzione pari a 402,8 miliardi di euro, seguita dalla Francia con 357,7 miliardi. L’Italia conquista un buon terzo posto e dietro di lei troviamo Spagna (220,6 miliardi) e Regno Unito (189,8 miliardi). In termini occupazionali il nostro Paese si posiziona al secondo posto con 2 milioni di addetti subito dopo la Germania (2,1 milioni).
Proiezioni per il futuro
La bioeconomia, grazie al suo potenziale innovativo, può essere una risposta ad alcune delle sfide globali che dovremo affrontare nei prossimi anni, dal risanamento ambientale, ai problemi del cambiamento climatico, all’invenzione di nuovi medicinali, alla necessità di sfamare un mondo in cui i fabbisogni alimentari aumenteranno del 70% da qui al 2050, sarà quindi fondamentale per assicurare la sostenibilità ambientale ed economica delle nostre società.
Lucrezia Melissari