“Non ho mai provato interesse per i rifiuti, è un termine generico ed è talmente irresponsabile usarlo. Quando smetteremo di impiegarlo, ci renderemo conto del numero di differenti materiali da cui è formato e quindi tratteremo la questione in maniera diversa. Ogni elemento è magnifico, oppure brutto o qualsiasi altra cosa. Dipende dalla nostra concezione“
Tony Cragg, scultore inglese contemporaneo, definisce i rifiuti semplicemente come materiali da poter usare per realizzare qualsiasi cosa, non dando alcuna accezione negativa, ma conferendo loro invece un’importanza rilevante. La presenza del rifiuto nell’arte è uno specchio di quello che è il sentimento comune di questi tempi; l’aumentare del disagio sociale, inteso come mentalità dell’usa e getta e la relativizzazione dei valori, si è concretizzato in installazioni e sculture che arrivano a esibire veri e propri rifiuti.
Nella storia dell’arte, tuttavia, la prima innovazione che porta all’impiego nell’arte di materiali poco frequenti e inusuali non è recente ed è rappresentata dalla la tecnica del collage sperimentata da Pablo Picasso e George Braque nella prima metà del Novecento. L’intenzione era quella di unire frammenti del quotidiano, seppure qui si parli nella maggior parte dei casi di ritagli di giornale, per rendere una storia che non fosse omogenea né predeterminata.
Fare arte da quel momento non ha più significato solo saper usare le tecniche ma anche scegliere di usare dei materiali che rappresentassero per se stessi un significato, vicini alla realtà e privi di qualsiasi idealizzazione.
In seguito il movimento dada ha portato all’estremo la critica al mondo dell’arte, spalancando le porte all’utilizzo dei rifiuti e riconoscendo in questi ultimi un’opportunità nuova per comunicare. Il risultato di questa avanguardia sono le più famose opere di Duchamp Ruota di bicicletta (1913) o Fontana (1917). In entrambe l’artista si è servito di oggetti del quotidiano, nel primo caso di uno sgabello in legno e di una ruota di bicicletta, e nel secondo di un orinatoio, per produrre un effetto di spaesamento nel pubblico. La desemantizzazione di tali oggetti e la loro inutilizzabilità rimanda, infatti, alle nostre vite e a tutto ciò che riempie il nostro mondo con la sua funzione; il punto estremo di inutilizzabilità e abbandono pone un interrogativo sul destino di tali oggetti.
Se l’arte è una spia, l’architettura e l’artigianato nel corso della storia non sono stati da meno. Fin dai tempi più antichi, infatti, i materiali per la costruzione di nuovi edifici, templi e abitazioni, erano riutilizzati. Basti pensare alla spoliazione del rivestimento esterno del Colosseo, depredato durante le invasioni di Roma perché ritenuto di valore. O, spostandosi geograficamente, alle tende delle tribù nomadi degli indiani d’America, costituite dalle pelli ricavate dagli animali.
Nulla era fine a se stesso, e quando naturalmente un materiale andava incontro al suo ciclo di fine vita, era già trascorso un periodo di tempo sufficiente per il rinnovarsi della risorsa, qualunque essa fosse.
Se guardiamo scientificamente ai cicli biologici, alla vita, ci accorgiamo appunto che nulla è “scarto”. Tutto, come l’energia e la materia, si trasforma, acquista nuovo valore, nuova identità. Nella storia dell’uomo fino a pochi secoli fa, prima delle due ultime rivoluzioni industriali, il riutilizzo era centrale anche nella vita contadina: basti pensare alla tradizione culinaria, basata sull’utilizzo integrale delle risorse disponibili e sul riutilizzo degli avanzi, o guardare a come scaldavano il letto d’inverno i nostri nonni, ossia con le braci del camino, o ancora con che materiale si fertilizzavano (in parte ancora adesso) i campi.
L’arte, l’architettura, la storia stessa dei nostri antenati, fanno parte di uno stesso spirito che da sempre permea il mondo, dal quale forse l’uomo moderno per certi versi è stato costretto ad allontanarsi, ma che oggigiorno è quanto mai necessario recuperare: il valorizzare la terra e le sue risorse.
Dando un’occhiata ai dati sul riutilizzo in Italia, ci si accorge che anche nell’ultimo periodo è cresciuta la raccolta differenziata, andando ad attestarsi al 55,5% nel 2017, un netto 3% rispetto al 2016. In questo senso, l’arte può essere fonte di ispirazione e proporre nuove soluzioni per il riutilizzo di beni e oggetti.
Francesco Novella