In questi ultimi mesi corrono da una parte all’altra dell’emisfero notizie riguardanti l’emergenza Coronavirus, che ormai è entrata prepotentemente anche nella cronaca del nostro Paese che, ad oggi, è al quarto posto per numero di contagi al Mondo (dopo Cina, Corea del Sud e Iran).
La domanda, anche per cercare di limitare il contagio, è: esistono delle correlazioni tra questo nuovo virus e le condizioni climatiche e ambientali?
Come il Covid-19 reagisce alle temperature
Il Covid-19 – che appartiene alla famiglia dei Coronavirus – in genere prolifica maggiormente durante la stagione fredda ma, poiché è mutato da un virus che era negli animali, gli epidemiologi non sono certi che con l’arrivo del caldo il virus rallenterà la sua diffusione (come invece è successo per la Sars che si è estinta nell’estate del 2003).
È difficile, con i dati che medici e ricercatori hanno ottenuto fino ad adesso, stabilire se esista davvero una correlazione tra virus e clima e quindi non c’è la certezza scientifica che con l’innalzarsi delle temperature si ridurranno i contagi, ma la speranza in parte è anche questa.
Le nostre difese immunitarie a rischio
In inverno le nostre difese immunitarie tendono ad abbassarsi e i repentini cambi di temperature certo non aiutano, soprattutto quando non sono dettati dal clima. Ad esempio, si sottovaluta quanto lo sbalzo tra dentro e fuori casa incida sulla nostra salute.
Nelle case (ma anche nei negozi e negli uffici) il termostato dovrebbe essere regolato tra 18-20°C – anche per ridurre la spesa economica -, altrimenti lo shock termico sarà talmente importante da inficiare il nostro sistema immunitario e se siamo deboli i virus trovano l’ambiente ideale per crescere (come il Coronavirus che passa per le vie respiratorie).
Inoltre, per quanto riguarda la trasmissione di questo virus, la maggior parte degli esperti sono concordi nell’affermare che il vento non è un veicolo di trasmissione significativo. Anzi, arieggiare gli ambienti ed evitare posti chiusi e affollati potrebbe ridurre il rischio di contagio.
Gli impatti del Coronavirus sull’inquinamento
L’epidemia di Coronavirus sta avendo un risvolto importante anche sul piano economico e sta modificando la vita delle persone, con impatti concreti anche sul fronte dell’inquinamento atmosferico. In Cina misure di contenimento del Covid-19, infatti, hanno portato, a causa della riduzione della produzione industriale (le stime valutano tra il 15% e il 40% nei settori trainanti dell’economia), alla riduzione di un quarto o più delle emissioni di CO2 dell’intero Paese nelle ultime tre settimane.
Alle persone chiuse in case e alle aziende in stallo si aggiungono auto, treni e aerei quasi fermi e questo aiuta in parte a tenere sotto controllo le emissioni di anidride carbonica.
Il Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) ha confermato che in questo stesso periodo, ma un anno fa, la Cina rilasciava circa 400 milioni di tonnellate di CO2.
Le misure di quarantena – proprio dopo le feste del Capodanno cinese, che come il nostro carnevale è stato menomato da questo virus – hanno bloccato le attività industriali riducendo così le emissioni globali di oltre 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Cosa ci insegna il Coronavirus?
La drammaticità del Coronavirus ha dato evidenza di un fatto che gli ambientalisti sostengono da anni: uno dei fattori di aumento della CO2 in atmosfera è proprio la produzione industriale. Cosa fare?
La soluzione non può certo essere quella di chiudere le fabbriche – con danni ai lavoratori, all’economia e ai consumatori -, ma quello di produrre in modo più sostenibile, usando energia pulita, puntando sul riuso delle risorse e sull’economia circolare.
Lucrezia Melissari