Andiamo tanto orgogliosi della cucina italiana e abbiamo ragione: la dieta mediterranea e i piatti della nostra tradizione sono sinonimo di eccellenza in tutto il mondo, simbolo di un Made in Italy che, in altri settori, non brilla più. Finché dura! Non perché siamo destinati a essere superati anche tra i fornelli, ma perché alcuni degli alimenti su cui basiamo le nostre fortune culinarie rischiano di sparire. La colpa è dei soliti, tanto temuti quanto sottovalutati, cambiamenti climatici. Le colture e gli allevamenti, infatti, sono fortemente dipendenti dalle condizioni metereologiche.
Le zone più colpite
Il rapporto “Stato dei mercati dei prodotti agricoli di base” pubblicato dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha studiato i cambiamenti climatici e i loro potenziali impatti nelle aree del mondo. A essere maggiormente colpite, secondo la ricerca, saranno le zone del Pianeta che si trovano alle latitudini più basse e, quindi, i Paesi che già oggi si trovano in condizioni di tragiche e di povertà. Certo, molto dipenderà delle innovazioni tecnologiche e dal ritmo reale dei cambiamenti del clima, ma i segnali della Terra sono inequivocabili.
Gli alimenti a rischio

Foto di Erwan Hesry
Il World Economic 2018 è andato oltre le stime della FAO e ha provato a ipotizzare gli alimenti considerati a rischio: con l’innalzamento delle temperature i primi a essere in pericolo potrebbero essere i frutti, capitanati da albicocche, pesche, fragole e uva. L’assenza di quest’ultima porterebbe a una conseguente diminuzione della produzione di vino (ecco la prima delle eccellenze italiane a rischio) che potrebbe calare addirittura dell’85% nei prossimi 50 anni.
Ma siccità e aumento della temperatura, sempre secondo le stime degli esperti, “metteranno in difficoltà” anche gli amanti della birra, che potrebbero trovarsi costretti a spendere decisamente di più per bere la loro amata “bionda” a causa della riduzione della produzione di orzo. E la pasta? Anche il nostro piatto simbolo non avrà vita facile, con la produzione di grano che potrebbe calare del 6% per ogni grado in più. Problemi in vista, però, anche per il riso, la cui produzione è strettamente legata alla quantità d’acqua, e per alcuni legumi.
Un capitolo a parte, infine, lo meritano carne, latticini e pesce. Scarseggiando le colture, avremo sempre meno cibo per sfamare gli animali. L’allevamento, inoltre, è una pratica che impatta in modo importante sull’ambiente a causa del consumo di acqua e della produzione di gas a effetto serra (il 15% della produzione totale è imputabile proprio all’allevamento).
Spostando l’attenzione sui mari, invece, avremo con ogni probabilità meno pesci a causa dell’innalzamento della temperatura delle acque, che costringerà le creature marine a migrare a nord e che potrebbe influire su metabolismo e tempi riproduttivi. L’acidità di mari e oceani, infine, potrebbe avere effetti negativi non solo sulla barriera corallina ma anche sui molluschi e frutti di mare.

Foto di Alex Radelich
L’aumento della popolazione
Il quadro è tutt’altro che confortante anche perché la popolazione continua ad aumentare e saranno sempre di più le persone che migreranno alla ricerca di cibo e, soprattutto, acqua. Riusciremo a sfamare tutti? Uno studio pubblicato sulla rivista Nature dice di sì, ma per farlo dobbiamo correre subito ai ripari: mangiare meno carne, evitare gli sprechi e innovare i sistemi per coltivare. Su quest’ultimo aspetto si sta già lavorando: sono sempre più diffusi gli orti urbani, sia all’aperto (per esempio sui tetti dei palazzi), sia all’interno delle abitazioni e degli uffici, con sofisticati sistemi sempre più autonomi e intelligenti.
Dobbiamo riboccarci le maniche e iniziare a comprendere la portata del problema prima che sia troppo tardi.
Il 25 ottobre si è festeggiato il World Pasta Day, la ricorrenza che celebra uno dei simboli dell’Italia del mondo. Finché dura!
Thomas Ducato